Bon Appétit

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  1. Lato-Tibby
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    barzellette.

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    Mensa, un altro posto di quell'enorme complesso di neon artificiali, color verde lime che spiccava sulle pareti altrimenti metalliche, in un bzzz persistente che oramai sfuggiva all'udito di avvezzi prigionieri e guardie, ma non a me, piccola ragazzetta giunta in quel posto da poco tempo. O almeno così mi sembrava: che il tempo mai fosse trascorso, che fosse tutto nuovo come il primo giorno, come se davvero il Saint Stan potesse sfuggire a qualsiasi logica umana, persino il meccanico scandirsi di dì e notte, settimane e mesi.
    Ed infatti cosa c'era di umano in quel posto di torture, silenzio e rigore di passi meccanici, quasi dispotici accompagnati da fedeli manganelli? Nulla, se non il mio sguardo di poco più che bambina, di prigioniera docile mai ribellatasi alla prigionia, perché chi come me conosce il futuro sa che ciò che è già deciso non si può cambiare, ma è ineluttabile come lo stesso passato. Non ero una persona rassegnata, semplicemente i miei occhi vedevano oltre quello che le comuni persone conoscevano, erano proiettati in avanti e non avrei mai più commesso l'errore di sfidare ciò che già sapevo dovesse accadere, come avevo fatto tentando il suicidio. Cosa avevo guadagnato? Solo dolore e cicatrici ai miei esili e piccoli polsi, nient'altro.
    Ero sola quel giorno, non sapevo dove fosse Bartleby, supponevo si fosse cacciato in qualche guaio, lui, che ribelle combatteva il destino tutti i giorni quando io lo accettavo passivamente. Probabilmente era in giro con la ragazza bionda, una mutante con cui non avevo mai parlato, ma che intuii dovesse avere qualcosa che io non possedevo. E forse la invidiavo, forse ero semplicemente gelosa della grinta di tutti loro e di come riuscissero ad alzare la cresta, ostinati, contro ciò che non sarebbe cambiato. Non per il momento.
    Sospirai, mettendomi in fila per prendere qualcosa da mangiare. Non avevo molta fame da quando stavo al Saint Stan, come potevo? La luce mi sfibrava, mi impallidiva e consumava dall'interno. Nessuno ha voglia di mangiare quando è malato, ed io sentivo il mio minuto corpo fragile, quasi fosse il ritratto della mia stessa indole cosparsa di nei: fra-gi-le. Non per questo meno intensa, non per questo meno vera; solamente... diversa. Come testimoniava il laccetto nero che avevo al collo, l'unico oggetto personale che mi fosse stato concesso dalla guardia buona, il signor Dawson, che spesso avevo pensato ad un Gigante di cui io ero l'insolita bambina.
    Una prigioniera diligente e sempre composta, ecco a voi tutti Kaya Runciter. Non per questo una vinta, non per questo sottomessa: solo ribelle dall'interno, in modi che per gli altri forse erano difficili da capire.
    Arrivò così la ragazza dai rossi capelli e gli occhi grandi, verdi. Notai la divisa che spiccava, di colore differente, su tutte le altre nostre. Compresi cosa significasse il guizzo di colore che avevo sognato il giorno prima e compresi subito in quell'istante che quell'incontro dovesse conservare un qualche tipo di importanza per il mio futuro.
    Afferrai una grossa mela rossa ed un cartone di latte freddo, una scelta insolita per un pranzo, ve lo concedo e poi mi diressi verso il tavolo laterale in cui lei era seduta. Mi misi accanto alla rossa, apparentemente sembrava non avermi notata, ma io girai il capo dai capelli corti e la frangetta inquietante verso di lei, incuriosita.

    Come mai hai la divisa diversa? Mi piace quel colore...

    Scusami il ritardo T_____T
    Kaya è... strana. Perdona i suoi svarionamenti se puoi xD
     
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7 replies since 30/6/2016, 10:38   173 views
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