Bon Appétit

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    Deirdre C. FitzGerald - An Dílinn -
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    « Dio è nella pioggia. »


    Erano due anni e mezzo che passavo le mie giornate nella solitudine quasi più totale. A parte due parole schifate scambiate con i carcerieri e qualche dialogo più alto con Il Gran Bastardo quando cercava di capire "che cosa" fossi, la mia vita girava nel totale mutismo, nel totale silenzio. Avevo imparato ad amarlo come se fosse parte di me, il silenzio. Una volta avevo letto, da qualche parte, che "Il silenzio è la pace che ritorna dopo la guerra che ha fatto detonare il mondo". Bello vero? Poetico.
    Ironico che vedessi la poesia in una cella asettica colma di libri che avevo letto e riletto, che ormai conoscevo a memoria, che, in pratica, erano la mia unica ancora di salvezza in questo mondo controllato in modo così sbagliato.
    Avrei potuto fuggire probabilmente. Paradossalmente la mia cella, proprio perché isolata, era un punto cieco in molte telecamere, era un luogo di riparo più che di prigionia. Ma se fossi fuggita ora cosa avrei fatto?
    Potevo andare alla Xavier, certo, ma non era quello che volevo. Io volevo ristabilire l'ordine. Ma l'ordine fatto con il cervello non con la rabbia cieca, quella creata dalla paura e dalla vendetta.
    Erano giunte voci anche lì, in isolamento, riguardo ad un fantomatico mutante chiamato Intrigo, estremamente potente, che stava creando una Resistenza contro gli umani. Oh sì, bella idea. Ma i risultati erano ben lungi dall'essere evidenti. E non mi piacevano. Credevo nella lotta per la sopravvivenza ma studiata a tavolino, non esclusivamente pensata per massacrare e distruggere gli esseri umani. Dopotutto la mia famiglia era tutta "normale".
    La mia famiglia... mi spuntò un sorriso sghembo pensando a mia sorella, ai miei genitori, al nostro cane, alla nostra splendida dimora. Ma tornai seria quasi subito, non potevo farmi prendere dai sentimentalismi.
    Sentii la porta della cella aprirsi ed alzai lo sguardo su Charles, aguzzino da sei mesi, giovane, poco incline alla vera violenza fisica, totalmente terrorizzato dai mutanti.
    Detenuta vieni, ti accompagno in mensa.
    Non potei esimermi dal guardarlo stupita. Era troppo presto. Ormai riuscivo a scandire le ore abbastanza bene (anche questo più per non impazzire che per vera utilità). Io mangiavo sempre dopo tutti gli altri prigionieri, perché oggi sarebbe dovuto essere diverso?
    Buongiorno Charles. Stai bene?
    Ovviamente non mi rispose ma emise un piccolissimo sorriso gentile. Io ero stata educata a salutare sempre.
    Posso chiederti perché oggi vado in mensa così presto?
    Mi alzai e lisciai i pantaloni larghi e la camicia coordinata. La mia divisa era blu notte, di un colore diverso perché... ma chi se ne importa del perché. Sempre dentro quelle quattro mura ero.
    Or...Ordini Miss.
    Potei notare quando si morse la lingua appena dopo avermi chiamato Miss. Gli era scappato. Io, come tutti gli altri, eravamo "Detenuti" a volte "Feccia". raramente mi chiamavano con il mio cognome. Forse faceva ancora alzare le orecchie ai nuovi: i FitzGerald non erano propriamente gente di second'ordine.
    Sistemai il libro che stavo leggendo e mi misi davanti al ragazzo che non aveva più di 25 anni con le mani sporte in avanti.
    Venni ammanettata con quei braccialetti speciali che avevano il potere di bloccare la nostra mutazione temporaneamente e sentii, come sempre, le forze venire un po' meno. Ma ormai erano anni che subivo il trattamento, non mi scomposi e seguii l'uomo.
    Percepii un gran vociare già prima di arrivare alla mensa. Non ero abituata a quel caos mi diede quasi "fastidio".
    Solitamente sentivo i miei passi rimbombare nel corridoio, quel giorno, invece, li percepivo appena dato il chiacchiericcio proveniente dal refettorio.
    Varcai la soglia della mensa e mi fermai ad osservare. Erano tanti i mutanti presenti, parlavano tra loro, ma si vedeva che erano deboli. Charles mi tolse le manette ma sentii comunque i miei poteri debolissimi. Alzai gli occhi e notai i neon: ghignai. Umani furbi o che si credono tali?
    La mia cella non aveva quei neon essendo completamente ovattata dal mondo esterno e protetta da qualsiasi potere mutante, ma in quegli spazi aperti, il controllo era tutto.
    Sentii una spinta leggera sulla schiena e feci qualche passo in avanti. Non mi guardai attorno più di tanto, anzi. Tenni la testa alta ed avanzai fino alla fila per prendere da mangiare. Notai come la mia "divisa" spiccasse: evidentemente ero l'unica in isolamento, o meglio, ero l'unica in isolamento a cui quel giorno era permesso di pranzare con gli altri.
    Presi il mio vassoio mentre sentivo gli occhi di varie persone su di me e mi sedetti ad un tavolo laterale, vuoto.
    Non avevo amici lì dentro, non avevo conoscenti. Avevo me stessa, il mio cervello e i miei poteri. Poteva bastare.






     
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