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    Da lì si poteva vedere il cielo, perlomeno. Certo, non so se si potevano definire cielo quella specie di volta grigia ingabbiata dalle reti metalliche o quei lampioni accecanti verde acido sempre accesi, giorno e notte, che si proiettavano sulle nostre figure.
    Mi ero adattata, però, a quel mondo di privazioni e solitudine, mi ero abituata a sentire il corpo sempre fiacco e stanco, dato che le onde dei campi energetici X lo attraversavano di continuo, spogliando della loro forza le mie cellule mutagene. Nonostsnte questo, la Gabbia rimaneva il mio posto preferito: certe volte riuscivo a scorgere qualche piccolo corvo volare sulle nostre teste e gli aliti di vento mi rinfrescavano i capelli corvini, appiccicati sulla mia fronte pallida.
    Talvolta, se il sorvegliante era sufficientemente distratto, si dimenticavano persino che tu eri lì. Così, quando iniziava a piovere, al posto che spingerti brutalmente di nuovo dentro le celle potevi rimanere in quel luogo a cielo aperto e farti accarezzare dall'acqua piovana. Io amavo la pioggia, mi faceva sentire libera. Che ironia, detta da una prigioniera del Saint Stan, non è vero?
    Rimasi ferma in un punto del cortile, il luogo in cui sapevo sarebbe accaduto il nostro primo incontro. Nonostante le strutture del carcere riducessero al minimo il potere di noi mutanti, ogni tanto - specialmente nel sonno - qualche fugace manifestazione delle mie capacità riusciva ancora a raggiungermi.
    Questa, comunque, era precedente al giorno in cui Robert Dawson, il poliziotto buono, si era introdotto in casa mia per prelevarmi. Ed era stata anche una delle consapevolezze che mi aveva maggiormente aiutata a distaccarmi dalla mia famiglia e a sopravvivere in quel luogo metallico: la consapevolezza che, lì, avrei trovato un amico.
    Lo vidi arrivare, levando lo sguardo oltre lui a cercare il grande orologio esterno. La mia premonizione spaccò il minuto, come sempre accadeva, dunque nessuno stupore mi contagiò il viso. Mi limitai ad avanzare dritta verso il ragazzo dai capelli corvini e gli occhi del blu elettrico più intenso che avessi mai visto.
    Registrai il suo flettere le sopracciglia sorpreso, ma non battei ciglio alle sue espressioni perché in fondo io già le avevo conosciute. Gli porsi la sottile mano destra che avevo avvolto, per l'occasione, in un nero guantino logoro, maglia a rete. I miei occhi si ingrandirono, curiosi, osservandolo insistentemente, serafici come se stessi solamente ripetendo ciò che sapevo di aver già compiuto. Era difficile che i movimenti di Kaya Runciter non sembrassero agli altri studiati come quelli di un attore intento a recitare la sua parte. Mi strinsi nelle spalle: mamma lo diceva sempre, i Precog sono strani.

    Ciao Bartleby Price. Io sono Kaya, noi due diventeremo amici.

    Gli dissi, in un lieve sorriso. Nessuno mi aveva mai insegnato a controllare il mio potere, tantomeno mi avevano spiegato che i precog, approcciandosi agli altri, dovrebbero sempre mostrarsi con cautela ed estremo tatto. Altrimenti la sicurezza dei loro già previsti movimenti incute disagio e terrore negli altri, che li vedono - persino i mutanti stessi - un po' come piccoli mostri cervellotici. Ma a me nessuno si era mai preoccupato di spiegarmi questo, del resto non ero riuscita a raggiungere la Xavier School in tempo, prima che mi imprigionassero.
    Perciò forse fui irruenta nei confronti di Elekin. Ma non mi preoccupai perché sapevo che io e lui saremmo stati grandi amici.
    Kaya Runciter lo aveva già visto.
    Amo già questi due frugoletti ❤


    Edited by Lato-Tibby - 27/6/2016, 15:14
     
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    Bartleby Price - ELEKIN
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    Il sole stava pian piano calando e molti dei giovani mutanti se ne tornando all'interno della dannata struttura. B. ne incontrò molti, tutti di ritorno dalla Gabbia.
    Lui, invece, stava andando proprio da quella parte. Non amava particolarmente i raggi solari. Non perché non passasse abbastanza tempo tra le quattro mura, sia chiaro... semplicemente i suoi occhi di ghiaccio trovavano fastidiosa tutta quella luce che entrava a fessure dalla rete anti-mutante.
    Sì, erano circondati ovunque, anche sopra le loro teste. I Geni X potevano anche donarti capacità di volo o farti trasformare in insetto. La rete serviva proprio a quel genere di persone. Una delle primissime cose che aveva tentato Bartleby era stato mandarla in cortocircuito.
    E nulla. Era stato un tentativo vano, il primo di tanti.
    Uscì infine nello spazio aperto del Saint Stan. Mani in tasca, palpebre un poco chiuse mentre fissava il cielo oltre la rete. Un piccolo starnuto lo colse quasi di sorpresa. Ah, il sole! Sempre la solita storia.
    Voltò lo sguardo, tirando appena su col naso e notò che una ragazzina dai capelli simili ai suoi avanzava dritta dritta verso di Lui.
    Si guardò un secondo intorno e notò di essere il solo oltre a lei. Inarcò le sopracciglia quando se la ritrovò davanti, con la mano destra tesa.

    Oh? Ma cosa...?

    Non ebbe neanche il tempo di riflettere. La strana moretta non attese oltre.

    Ciao Bartleby Price. Io sono Kaya, noi due diventeremo amici.

    Se prima le sua sopracciglia erano appena inarcate, ora le sue iridi si erano completamente spalancate.
    Come faceva a sapere il suo nome? Non l'aveva mai vista! Almeno, non gli pareva di averla già incontrata nella prigione.
    Lanciò un altro sguardo intorno a sé... nessuno in vista. Il viso della ragazzina lo inquietava un po'.
    Aveva gli occhi della conoscenza. Non aveva idea del perché gli paresse in quel modo... ma sì. Lei sapeva.
    Con lentezza osservò di nuovo le dita guantate, in atte di essere strette.
    B. non era uno che dava confidenza. Stava sempre sulle sue, e fare gruppo non lo caratterizzava. Non dopo la scoperta dei suoi Poteri.
    Deglutì mentre la sua mano raggiungeva quella di lei per poi lasciarle solo una stretta debole.
    Suo padre non avrebbe approvato. Come tanti, credeva che la stratta di mano fosse la prima impressione che una persona si faceva dell'altro.
    Una stretta debole significava una persona debole.
    Ma a pensarci, Lei lo conosceva già a quanto sembrava. Non aveva bisogno di una prima impressione.

    Come puoi... saperlo?
    E se io non volessi?


    Le parole uscirono insicure, senza il tono di sfida che avrebbe voluto.
    Non si rese di conto che le loro mani si stavano ancora stringendo lievemente.

    Sei una Visionaria? Come conosci il mio nome?

    Non sapeva perché ma non riusciva a spingere Kaya lontano come avrebbe fatto con chiunque.
    C'era qualcosa in lui che bloccava le ostilità verso quella strana ragazzina.
    Anche il nastrino che portava al collo lo inquietava un po'.
    Doveva essere comunque una persona molto tranquilla se le Guardie le avevano permesso di tenerlo.
    Lui ci avrebbe strozzato già un paio di persone, probabilmente...

     
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    Invadenti e perfettamente aperti, i miei occhi registrarono il viso di Elekin con curiosità. Il tempo della mia premonizione ci aveva già lasciato, non sapevo come sarebbe continuata la nostra conversazione, ma le mie sensazioni - informazioni sul futuro indefinite, legate ai sentimenti più che a spazi e luoghi - mi infondevano fiducia. Kaya Runciter sapeva che Bartleby Price sarebbe divenuto suo amico. Non potevo spiegare da cosa originassero certe mie convinzioni, ma esse erano vere. Ci avevo già provato a cambiare il futuro che prevedevo: il primo mese di permanenza al Saint Stan era stato così difficile che avevo tentato il suicidio. Nonostante sapessi che l'incontro con il ragazzo dagli occhi turchesi doveva ancora accadere.
    Ed infatti, a parte le cicatrici sui miei sottili polsi chiari, non era cambiato nulla: io ero ancora viva, l'incontro con Bartleby era stato inevitabile e così la mia non morte. Forse, se avessi osservato meglio la visione del ragazzetto, avrei notato che le cicatrici sulla mia pelle c'erano sempre state.
    Sorrisi al ragazzo, trovavo il suo volto molto interessante, quasi... tenero. Era carino, come il musetto di un Pokèmon. Era... semplicemente un amico. Kaya Runciter sapeva già che lo avrebbe adorato.
    Alla sua domanda mi morsi le labbra sottili, pensosa, e rivolsi il mio sguardo oltre il ragazzo, alla volta della Gabbia, cercando un modo per farmi capire. Poi ci rinunciai e sospirai semplicemente.

    Lo so perché l'ho vissuto - iniziai a rispondere - Credo... credo che tu non possa non volerlo.

    Sbattei lentamente le palpebre, in un sorriso serafico. Le nostre mani erano ancora strette, anche se debolmente, mi sembrava che le dita di lui fossero leggermente sudate, ma pensai che fosse normale: non dovevo averlo messo molto a suo agio, probabilmente. Mi piaceva la flebile stretta di mano, non era esageratamente forte, ma delicata. Simboleggiava bene la libertà e un'amicizia, in fondo, non si basa su questo principio? Mia mamma me lo diceva sempre.

    Io sono una precog, non una visionaria. E so il tuo nome perché tra pochi minuti una guardia si sporgerà dalla porta d'ingresso e ti chiamerà. E io la sentirò.

    Mi strinsi nelle spalle, sciogliendo la stretta di mano. Portai il braccino esile sopra la testa ed indicai l'androne con l'etichetta sopra l'infisso illuminata dalla parola EXIT. La parte di futuro che conoscevo con esattezza stava sbiadendo, possedevo solo rapidi flash di quella che sarebbe stata la mia futura amicizia con Bartleby. Tra cui il richiamo di quella guardia, ad esempio, o una carta che dal mio palmo inizia a lievitare in una stanza. Tornai a guardarlo.

    Sembri un Pokèmon. Se ti tocco la guancia mi dai la scossa?

     
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    Era tutto così surreale. Una completa sconosciuta gli diceva che sarebbero diventati amici e Lui, Bartleby Proce, le aveva stretto la mano come se non avesse davvero scelta.
    Assurdo, incomprensibile. Eppure, per quanto intontito e inquietato da quell'incontro... gli pareva giusto.
    Era tutto così giusto, come se davvero il Destino avesse deciso di farli incontrare.

    Lo so perché l'ho vissuto. Credo... credo che tu non possa non volerlo.

    E Lei ne era certa. L'aveva vissuto, sapeva che in qualche modo sarebbero diventati amici.
    Amici era una parola grossa. B. non aveva amici da molto tempo. Quel posto ti lacerava lo spirito, ti portava via tutta la voglia di fare gruppo o di divertirsi. Di fare amicizia.
    Ma Kaya, forse, non era come gli altri. Era diversa, ancor più dei Mutanti stessi.
    Era speciale. Stavolta era lui ad esserne quasi certo.

    Io sono una precog, non una visionaria. E so il tuo nome perché tra pochi minuti una guardia si sporgerà dalla porta d'ingresso e ti chiamerà. E io la sentirò.

    Una Precog. Non ne aveva mai sentito parlare ma, stando a quello che diceva la ragazza... doveva essere una specie di Veggente!
    Aspetta. Una Guardia avrebbe cercato lui? Non erano esattamente notizie buone, quelle!

    Tu puoi... vedere il futuro.
    Usciremo mai di qui?


    Okay, forse non era stato il massimo della delicatezza. Aveva appena scoperto il suo potere ed iniziava già a fare domande, come se si stesse facendo leggere le carte da un indovino strampalato!
    Però ecco, era una cosa così forte poter prevedere il futuro!
    Amava la Telecinesi, nonostante la brutta fine che gli aveva fatto fare. Ma il potere di Kaya era decisamente oltre.
    Era normale essere un poco curiosi, probabilmente. Ammettiamolo.

    Sembri un Pokèmon. Se ti tocco la guancia mi dai la scossa?

    Elekin la guardò stralunato... un pokèmon? Sul serio?! Lui???
    Un lieve risolino uscì dalle labbra fini del giovane. Era da tempo che non gli capitava di ridere.
    E sì... in fondo dovevano essere vere le premonizioni della piccola Runciter. Iniziava a piacergli.

    Spero di no... Pikachu non mi è mai piaciuto.
    Ero più, sai... per quelli d'erba.


    Disse il ragazzo grattandosi lievemente la nuca pensieroso.
    E se prima c'era stata una lieve tensione tra i due, ora B. riusciva a parlarle quasi tranquillamente.

    Un piccolo miracolo al Saint Stan.

     
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    Non so se definirmi speciale sia giusto. I miei genitori mi avevano sempre chiamata in quel modo, con affetto non riuscivano a nascondere il timore che gli incuteva il mio potere. Una volta avevo sentito mia madre parlarne in cucina con papà, la sera, credendomi già addormentata nella mia cameretta.

    "Sono preoccupata, Glen. Quello che vede... Il futuro è doloroso, e lei è solo una bambina..." aveva sospirato accanto alla sedia del marito.

    "Lo so, Angela. Ma non abbiamo modo di controllarlo, purtroppo non si può arrestare la crescita di un figlio. Siamo solo genitori, non mostri come quelli del Saint Stan..."

    "Ma se vedesse nel futuro qualcosa di spaventoso? Se vedesse la sua stessa morte, Glen? Cosa potremmo dirle allora?"
    un lungo e meditabondo pensiero s'impresse nel grande volto da gatto che l'uomo possedeva. Glen Runciter emise un lungo sospiro.

    "Per questo quando sarà abbastanza grande chiederemo aiuto al Professore".

    Avrei sempre ricordato quel discorso, anche se non lo capisco sino in fondo nemmeno ora. Non ho la percezione della morte che hanno gli adulti, e persino gli eventi negativi che riesco a prevedere io li accetto come inevitabili, non mi scompongo. Non si può cambiare il passato e neanche il futuro: questa è la verità.
    Forse non ero strana, forse ero solamente inquietante. Io mi sentivo diversa dagli altri, non sapevo se fosse solo il sentimento che dicono hanno tutti gli adolescenti o se c'era dell'altro in me. Eppure qualcosa mi turbava profondamente, e forse il mio pallora, il modo che avevo di vestirmi non erano altro che manifestazioni di quel tarlo fastidioso che batteva sotto i miei capelli corvini, un grillo insistente.

    Sì, è proprio questo che faccio - gli risposi distogliendo lo sguardo da lui per rivolgerlo all'aria, stralunata - Io vivo il futuro. Per brevi attimi.

    La domanda di Bartleby fece arrestare il girovagare innervosito del mio sguardo. Lo riportai negli occhi turchesi di Elekin, con stupore. Non mi infastidì il suo tono repentino, mi piacevano le persone che giungevano subito al punto. Per certi versi lo avevo già fatto io con lui dicendogli subito quale era il nostro destino.

    Io... non lo so. - risposi flemmatica - Non mi accade sempre. Da quando sono qui non mi accade quasi mai di parlare con il Futuro. Non so se usciremo mai da qui quindi... - sorrisi ottimisticamente - il fatto che io non sia certa che non usciremo significa che è possibile ciò accadda!

    Chinai lo sguardo di lato e allungai una mano verso di lui, pizzicandogli delicatamente la guancia chiara e morbida. Mi lasciai sfuggire una risata sommessa, entusiasta. Quello era anche il mio primo amico in quel posto, a parte la guardia gentile, il signor Dawson.

    A me piaceva Cyndaquill invece. Gli occhi sorridevano sempre: avrei voluto che esistesse davvero.

     
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    Non si aspettava che la ragazza avesse tutte le risposte. Era chiaro però che Bartleby fosse stato spinto a farle quelle domande.
    Andiamo, chi non le avrebbe fatte? Era normale, di slancio, provare a capire se e quando se ne sarebbero andati di lì.
    Perché doveva esserci un Quando. Certo, al momento quel luogo pareva inespugnabile... ma non poteva pensare che avrebbe passato il resto della sua vita al Saint Stan! Col cazzo!

    Il fatto che io non sia certa che non usciremo significa che è possibile ciò accada!

    Ecco! Sì, era un po' filosofica la cosa... ma meglio di nulla!

    Fantastico. Allora dovremo solo fare in modo che accada, suppongo.

    Non c'era certezza nella sua voce, ma almeno poteva tentare di ostentare un po' di sicurezza in quel luogo infame.
    Sorrise lievemente a Kaya, la sua nuova amica.
    Il suo futuro doveva essere vero, dato che avevano davvero trovato un punto di contatto.
    Si piacevano. Non nel modo romantico, chiaramente. Ma si piacevano!

    A me piaceva Cyndaquill invece. Gli occhi sorridevano sempre: avrei voluto che esistesse davvero.

    La ragazza era davvero strana... ma gli metteva allegria, qualcosa che non accadeva da tempo.

    Dici? Non ci ho mai fatto caso.
    Mi è sempre piaciuto Bulbasaur... sai, è anche un dinosauro.


    Non sapeva perché stessero parlando di un vecchio videogioco giapponese... ma era meglio che starsene rinchiusi nella solitudine della cella.

     
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    Esatto, è proprio così.

    Risposi al ragazzino dai capelli corvini, ad occhio e croce un poco più grande di me. Mentre confermavo le sue parole sorrisi con gli occhi, quasi a renderli due linee sottili come quelli sempre socchiusi di un Cyndaquill. Annuii con il mio capo sottile ed increspato per via del continuo dormire senza sosta, alternato al lavoro stancante della prigione, che certo non mi permettevano di curarli come forse avrei dovuto. Eppure amavo quelle linee leggermente increspate, instabili che andavano costruendosi attorno al mio visetto ancora innocente. Mi davano un aspetto da dura, no?
    Che schiocca, se il signor Dawson mi stesse ascoltando, in questo istante si metterebbe a ridere con fragore. Ero sempre stata particolarmente teatrale, nei gesti che sceglievo, nell'abbigliamento estremamente curato, nero e avvolto da reti distrutte o pizzi trasandati. Ma potevo davvero definirmi così, "una dura", quando probabilmente ero una tra i prigionieri più manuseti e collaborativi di tutto il Saint Stan?
    Però è bello sognare, certe volte... Mi risposi. Ero poco più che una bambina, in fondo, dotata di un'immaginazione fervida tanto quanto il mio animo si mostrava remissivo nei confronti della Sorte. E l'Immaginazione può fare miracoli quando ci sentiamo soli: può farci vedere guance di Pokèmon nei compagni che incontriamo. Può aiutarci a combattere il nostro desiderio di morte.

    Cercare di ribellarsi al tempo è impossibile, Bartelby - gli dissi, guardandolo improvvisamente con una serietà greve tanto quella degli adulti - C'è una teoria fisica per questo, lo sai? Sui viaggi del tempo e tutto il resto... è impossibile cambiare quello che deve avvenire. Ci si fa solo male.

    Portai le mani dietro la mia ritta e piccola schiena, incrociandole tra loro. Ignorai il dolore immaginario che, automaticamente, quando sfioravo i polsi mi ricordava quello che avevo dovuto passare da quando ero arrivata al Saint Stan. No, quando una previsione è fatta, quella è per sempre, mi ripetei, non posso cambiarla.
    Dovevo ricordarmelo costantemente, e questo era il dolore più grande di tutti: conoscere cosa stesse per accadere e non potersi impedire di cambiarlo, eravamo bloccati per sempre in un copione che non ci era stato permesso di scrivere. Un copione a cui io, misteriosamente, avevo più acceso degli altri: e potevo scorrere avanti, leggerne la fine se lo avessi desiderato.
    Una vita senza sorprese quella di Kaya Runciter, ma una vita che in un certo sento sentivo libera in quella prigione perché le luci verdi... mi impedivano di vedere. E ciò, almeno per una volta, mi rendeva uguale a tutti gli altri.

    Bulbasaur, il pokemon seme - aggiunsi al dire di Elekin - Sì ho presente. Il mio preferito rimarrà comunque Eeve: mi piace che abbia così tante evoluzioni. Mi fa pensare alle possibilità del futuro di una persona... pieno di alternative che forse, qui dentro, noi avremo comunque modo di vivere.

     
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